Il pezzo che segue è estratto da Roberto Colacioppo, Lia Giancristofaro, Lucio Valentini, Immagini e percorsi religiosi, Edizioni Rivista Abruzzese, Lanciano 2001, pp. 6-7. Lo abbiamo scelto e ringraziamo gli autori, perché consideriamo la rivista un patrimonio e un giacimento etnografico, storiografico e culturale di eccezionale importanza per l’Abruzzo. Una voce, insomma, che meglio di noi può raccontare la ritualità legata alla settimana Santa e presentarla perché chi vuole viverla scelga da dove cominciare. Buon viaggio!
[box_light](…) Si tratta di importanti chiavi di lettura per la conoscenza del locale patrimonio culturale intangibile, che rivelano particolari modi di esprimersi della religiosità popolare che storicamente sono state in contrasto con le forme religiose ufficiali. Le processioni che fanno rivivere la Morte e alla Resurrezione di Cristo nei paesi abruzzesi sono di origine medievale, ed in esse, accanto ad elementi aggiuntisi nel corso dei secoli, come i forti influssi controriformistici e della dominazione spagnola, sopravvive l’elemento di base da cui provengono: il dramma sacro, che le confraternite usavano rappresentare con cupo, triste, a volte pauroso realismo.
Nella celebrazione della Settimana Santa, così come a Chieti gioca un ruolo di indiscussa importanza organizzativa l’Arciconfraternita laicale del Sacro Monte dei Morti sita presso la Cattedrale di S. Giustino, a Lanciano l’allestimento è curato dall’Arciconfraternita laicale Morte e Orazione, costituita presso la Chiesa di S. Chiara. Le origini sembrano risalire al periodo post-comunale, quando le Corporazioni, diminuita la loro funzione economica, assunsero connotazioni religiose; persino i termini usati per indicare i gradi gerarchici all’interno della confraternita coincidono quasi perfettamente con quelli usati, un tempo, nelle antiche associazioni professionali. I confrates, che avevano tutti origini nobiliari, erano dediti ad attività misericordiose quali la vestizione degli ignudi, l’assistenza dei condannati a morte, la sepoltura delle persone senza famiglia e la celebrazione solenne degli avvenimenti religiosi, cui si aggiunse, durante la Settimana Santa, la pratica delle Quarantore, ossia l’adorazione del Sacramento per il tempo in cui Cristo restò nel sepolcro. La Controriforma e la lotta contro le eresie, condotta soprattutto dagli spagnoli, segnarono il momento di massimo splendore per le confraternite laicali, che dopo il Concilio di Trento vennero assoggettate alle Diocesi nelle quali operavano. (…)
A Lanciano, oltre alle confraternite di quartiere, operavano quella dei Raccomandati e quella della Frusta, ossia della Disciplina (il mazzo di funicelle con il quale i confratelli si percuotevano per penitenza). La compagnia superstite, fondata nel 1556 e segnata nei secoli da lotte intestine e con la Curia, tuttora organizza ogni anno i Funerali del Signore: la sera del Giovedì Santo, tutte le luci pubbliche vengono spente e i confratelli, incappucciati nella loro tonaca nera e illuminando il cammino con una torcia ciascuno, accompagnano in fila indiana, con la lunga processione dei Sepolcri, il Cireneo, che, anch’egli incappucciato per nascondere la propria identità, per penitenza trascina scalzo la grossa e pesante croce del calvario per le vie del centro storico. Al passaggio del crucifero, che cade per tre volte a ricordo delle cadute di Gesù, la folla resta con il fiato sospeso: la superstizione, infatti, vuole che, qualora sosti davanti ad una porta, uno degli abitanti di quell’edificio sia destinato a morire entro l’anno. Al corteo è lecito fermarsi solo davanti alle Sacre Rappresentazioni che, allestite sui sagrati delle Chiese, narrano le vicende della Passione in modi di diretta provenienza medievale. La lugubre coreografia, con il tamurro, che scandisce il tempo con un tamburo dal suono luttuoso, eil troccolante, adibito a riempire il silenzio con il roco lamento della bàttola, è di influenza spagnola.
Importanti echi medievali sono ancora vivi negli antichi canti narrativi ispirati alle leggende sacre: infatti, conservate nella tradizione orale, in Abruzzo si tramandano le laude che, elaborate nel Medioevo dalle confraternite religiose, durante la Settimana Santa vengono ripetute di contrada in contrada dagli anziani e dai cantastorie popolari a ricordo dei tormenti subìti da Gesù Cristo.Un esempio importante di “lauda” di origine medievale è costituito dal Canto della passione, qui riportato nella versione registrata da padre Lupinetti nel 1958.
O bona gente, state a sentì,
la passione di Die vuleme cantà.
Quande Gesù si mise pe’ partì
con la madre si mise a parlà;
Dicette: “O Fije me dove vai
che li giudei ti vonne flagellà”.
“Chi mi vole flagellà che mi flagelli,
vade a la morte più paziente;
ji finisce il mio dire, vi deve lasciare
sul monte de li olive vade a prehà;
ji questa morte li sapeve certe
quande orazione nell’orto faceve”.
Ecco Giuda detto traditore
lo bacia e poi disse: mio Signore.
‘Na canna pe’ scettre al redentore
nu fascette di spine pe’ curona;
‘nghi la canne le spine jà martellate
fino al cervello di Gesù à penetrate.
Passe la lancia e la cavalleria
dietre ci andava il figlio di Marie.
La sua madre il figlio va cerchenne
la strada che faceve ere piene di sangue.
Treme lu monne e lu sacre vele si spezze
muore Gesù per amarezze…
(Donatangelo Lupinetti, La Sanda Passijone, Lanciano, C.E.T., 1967).
Il Venerdì Santo viene celebrato con grande partecipazione: si tratta della ricorrenza di un giorno di tale dolore e di lutto per il mondo cattolico da determinare atteggiamenti religiosi che coincidono con il comportamento di chi ha un morto in casa. Soprattutto nelle contrade qualche donna, in questo giorno, ancora è solita non spazzare la casa, non stendere la tovaglia sulla tavola, e c’è ancora chi fa digiuno per tutto il tempo in cui le campane sono legate. Sono diffuse le credenze magiche su quanto sta per accadere, cioè la resurrezione di Cristo e lo scioglimento delle campane, motivo che ricorre come elemento di guarigione popolare e in molte formule di scongiuro.
Il rito più solenne del Venerdì Santo è certamente la processione del Cristo Morto, che rivela antichi legami con il teatro sacro del Medioevo e con le rappresentazioni delle confraternite religiose sui sagrati delle chiese. Le statue del Cristo disteso nella bara sono portate a spalla dai membri delle arciconfraternite, vestiti a lutto, e vengono precedute da tutti i simboli della passione: la lanterna e il gallo del rinnegamento di S. Pietro, la colonna e le funi della flagellazione, la corona di spine, la croce e la scala, i chiodi e il martello, le tenaglie, la spugna imbevuta di fiele, la lancia, il sudario. La processione è accompagnata dai cori e dalla banda, che suona note funebri ottocentesche, tristi e ispirate. Deposta la bara del Cristo nella chiesa, si svolge una veglia notturna in cui, come avveniva nelle usanze funebri abruzzesi, i confratelli e i fedeli si alternano nel sepolcro. (…)
Si tratta di manifestazioni il cui gusto seicentesco è evidente nella drammaticità delle manifestazioni esteriori, del tutto analoghe a quelle riscontrabili nelle tradizioni funebri della Sicilia e degli altri paesi del Sud Italia. Questo avviene perché il popolo non vuole soltanto pregare: vuole avere davanti agli occhi l’immagine allusiva della realtà, per rimanere ancora oggi più profondamente commosso. Da questa esigenza sono scaturite forme attraverso le quali è stata rievocata la morte di Gesù nel giorno in cui la chiesa la commemora. Negli ultimi anni, nelle tradizioni della Settimana Santa si riscontra una commistione dei temi religiosi e delle leggende sacre con aspetti, spesso dolorosi e tragici, della vita contemporanea, quali la disoccupazione, la violenza e la povertà, cosa che esprime l’esigenza del recupero dei valori autentici del cristianesimo e il rifiuto delle assurdità della società moderna. (…)
Lia Giancristofaro[/box_light]
(le foto sono tratte dalle rispettive confraternite delle processioni di Chieti e Lanciano)