Il 2013 è anche l’anno del miele, aiutato dai fondi europei destinati agli agricoltori che si dedicano a questa coltura particolarmente apprezzata dalle api. Lo sa bene l’Abruzzo che a dfine estate si è visto promulgata la sua legge regionale a tutela e sostegno dell’apicoltura abruzzese, un vero e proprio patrimonio storico di api, miele e derivati che ora avrà risorse e maggiori chanche per il futuro.
La legge porta la firma del consigliere Camillo Sulpizio, che nel presentarla ha voluto: «Favorire la crescita qualitativa e quantitativa dell’apicoltura abruzzese amatoriale e professionale”. Nei fatti si tratta del primo passo verso una normativa organica del comparto apistico abruzzese e che mette il cappello anche sulle possibilità di svilupparlo oltremodo, tramite la diffusione dell’allevamento.
«L’Abruzzo, la cui vocazione agro-alimentare è un punto di forza, se vuole competere sui mercati nazionali ed internazionali, deve valorizzare le nicchie di prodotto in cui eccelle ormai da anni – dichiarava il primo firmatario alla presentazione in Consiglio Regionale qualche mese fa – una di queste è rappresentata dall’apicoltura regionale, fonte di reddito sia principale che accessorio per tanti abruzzesi. Con l’introduzione di una disciplina settoriale abbiamo inteso promuovere un modello di sfruttamento agricolo non distruttivo e ciononostante redditizio, con un impatto ambientale praticamente nullo, che rende l’apicoltura attività agricola di collocamento ideale nelle aree marginali e nelle zone protette.»
Nei fatti significa una considerevole goccia in un considerevole mare nostrum. Perché il miele attribuisce all’Italia un dolce primato: 51 varietà, tutte censite dal ministero dell’Agricoltura, contro le 10, massimo 15 degli altri Paesi. E l’Abruzzo si colloca ad un posto di degnissimo rispetto con una produzione che ha una storia e dei luoghi di grande importanza e, si stima, circa 45mila alveari per qualcosa come 2 miliardi di api di maestranza. In tempi in cui proprio le api erano minacciate di estinzione per le cattive condizioni in cui abbiamo ridotto l’ecosistema mondiale, sono traguardi importanti!
L’apicoltura italiana conta 75mila apicoltori, con 1,1 milioni di alveari e un giro d’affari stimato di 70 milioni di euro. Un vero e proprio patrimonio, anche per il servizio di impollinazione reso all’agricoltura, valutato da 3,5 a 3 miliardi di euro.
Eppure, l’Italia riesce a rispondere alla domanda interna di miele da parte di consumatori e industria per il 50%, il resto lo importa. “Ma potremmo produrre molto di più, basterebbe che il Governo aiutasse di più gli imprenditori che vogliono mettere su un’impresa di apicoltura: per avviare un’attività di questo genere bastano 30-40mila euro”, spiega all’Adnkronos Hubert Ciacci, presidente degli apicoltori di Siena, Arezzo e Grosseto, vice presidente dell’associazione nazionale Città del miele (che raccoglie 50 tra Comuni, Province e parchi nazionali di tutta Italia) e presidente della Settimana del miele che sta per aprirsi a Montalcino (dal 6 all’8 settembre).
Investendo in apicoltura, potrebbe aumentare la produzione italiana di miele, garanzia di qualità, perché “il miele italiano è sottoposto a controlli serrati e a tappeto da parte di Nas, Guardia di Finanza, Asl – aggiunge Ciacci – Sui mieli stranieri sono state trovate spesso tracce di antibiotici, che vengono dati alle api per limitare il numero di malattie senza contare il pericolo di assuefazione cui è sottoposto il consumatore che ogni giorno assume miele. E’ per questo che facciamo pressione sul ministero della Sanità perché venga controllato soprattutto il miele che viene dalla Cina”.
Per stare sicuri, meglio leggere l’etichetta e privilegiare confezioni in cui sia riportata chiaramente l’origine geografica e l’indicazione dell’apicoltore che ha prodotto il miele. “Si va sul sicuro scegliendo quello che in etichetta indica con chiarezza dove, da chi e come è stato prodotto – spiega Ciacci – ovvero un miele tradizionale italiano, estratto per centrifugazione, che non ha subito trattamenti che possono modificare le sue caratteristiche e, in particolare, non è mai stato riscaldato a temperatura superiore a 40° C”.
Sicuro, vario, buono, ma anche ricco di proprietà uniche. In risposta alla moda del costosissimo miele di manuka, il cosiddetto ‘miele dei vip’ che arriva a costare anche 100 euro al kg, l’Italia schiera il miele di melata, il più ricco tra tutti di sali minerali e polifenoli, un antibiotico naturale eccezionale. Questo miele “viene fatto a partire dalle piante resinose, in tutta Italia, laddove si verifica il giusto mix di clima caldo e umido. Una volta era un prodotto di nicchia, ora si trova con più facilità. Da esperto e apicoltore – dice Ciacci – per me il miele di manuka è più una moda che altro, e si potrebbe sostituire benissimo con il miele di melata che tra l’altro costa decisamente di meno”.
Altro miele che ha sofferto quest’anno è quello di acacia. La primavera 2013 è stata disastrosa per gli apicoltori e il miele di acacia è stato prodotto in piccolissime quantità a causa del maltempo. Come conseguenza, il prezzo al dettaglio è aumentato in maniera vertiginosa, superando del 50% il prezzo del 2012. Quest’anno il miele di acacia, all’ingrosso, in fusti da 25 kg, è stato venduto sui 7 euro per finire sullo scaffale a 12-13 euro.